martes, 5 de marzo de 2013

L'alba meridionale




Pier Paolo Pasolini



Torno, ritrovo il fenomeno della fuga 
del capitale, l’epifenomeno (infimo) 
dell’avanguardia. La polizia tributaria 
(quasi accertamento filosofico
sugli incartamentidi un poeta) 
fruga in quel fatto privato che sono i soldi, 
contaminati da carità, dolenti
di inspiegabili consunzioni, e pieni 
di senso di colpa, come il corpo da ragzzi:
però con mia gongolante leggerezza perché qua, 
non c’è da accertare nulla, se non la mia ingenuità. 
Torno, e trovo milioni di uomini occupati 
soltanto a vivere come barbari discesi
da poco su una terra felice, estranei 
ad essa, e suoi possessori. Così nella vigilia 
della Preistoria che a tutto ciò darà senso,
riprendo a Roma le mie abitudini 
di bestia ferita, che guarda negli occhi, 
godendo del morire, i suoi feritori...
.
Torno... e una sera il mondo è nuovo, 
una sera in cui non accade nulla - solo, 
corro in macchina - e guardo in fondo 
all’azzurro le case del Prenestino – 
le guardo, non me ne accorgo, e invece, 
quest’immagine di case popolari 
dentro l’azzurro della sera, deve 
restarmi come un’immagine del mondo 
(davvero chiedono gli uomini altro che vivere?)
- case qui piccole, muffite, di crosta bianca, 
là alte, quasi palazzi, isole color terra, 
galleggianti nel fumo che le fa stupende, 
sopra vuoti di strade infossate, non finite,
nel fango, sterri abbandonati, e resti 
d’orti con le loro siepi - tutto tacendo 
come per notturna pace, nel giorno. E gli uomini 
che vivono in quest’ora al Prenestino 
sono affogati anch’essi in quelle strie 
sognanti di celeste con sognanti lumi
- quasi in un crepuscolo che mai 
si debba fare notte - quasi consci, 
in attesa di un tram, alle finestre, 
che l’ora vera dell’uomo è l’agonia - 
e lieti, quasi, di ciò, coi loro piccoli, 
i loro guai, la loro eterna sera - 
ah, grazia esistenziale degli uomini,
vita che si svolge, solo, come vera, 
in un paesaggio dove ogni corpo è solo 
una realtà lontana, un povero innocente.
.
Torno, e mi trovo, prima d’un appuntamento
da Carlo o Carlone, da Nino a Via Rasella 
o da Nino a Via Borgognona, in una zona 
oggetto di mie sole frequentazioni... 
Due o tre tram e migliaia di fratelli 
(col bar luccicante sullo spiazzo, 
e il dolore, spento nelle coscienze italiane, 
d’essere poveri, il dolore del ritorno a casa, 
nel fango, sotto nuove catene di palazzi) 
che lottano, si colpiscono, si odiano tra loro, 
per la meta di un gradino sul tram, nel buio, 
nella sera che li ignora, perduti in un caos 
che il solo fatto d’appartenere a un rione remoto 
lo delude nel suo essere una cosa reale. 
Io mi ritrovo il vecchio cuore, e pago 
il tributo ad esso, con lacrime 
ricacciate, odiate, e nella bocca 
le parole della bandiera rossa, 
le parole che ogni uomo sa, e sa far tacere. 
Nulla è mutato! siamo ancora negli Anni Cinquanta! 
siamo negli Anni Quaranta! prendete le armi! 
Ma la sera è più forte di ogni dolore. 
Piano piano i due tre tram la vincono 
sulle migliaia di operai, lo spiazzo 
è quello dei dopocena, sul fango, sereno, 
brilla il chiaro d’una baracca di biliardi, 
la poca gente fa la coda, nel vento 
di scirocco di una sera del Mille, aspettando 
il suo tram che la porti alla buia borgata. 
La Rivoluzione non è che un sentimento. 





[II]
Poesia in forma di rosa, 1964
Tutte le poesie, Tomo I, Meridiani Mondadori, Milano 2003